a cura dell’avv. Ernesto Maria Cirillo e della dr.ssa Lidia Undiemi
Il tribunale di Siena ha recentemente emesso una sentenza sul famoso caso della cessione di ramo d’azienda delle attività di “back office” che ha coinvolto più di mille lavoratori.
Dando ragione ai lavoratori, il giudice senese affronta in modo esemplare le principali questioni interpretative sul tema della tutela dei lavoratori nelle esternalizzazioni, fenomeno che oggi incide in modo determinante sulla struttura dei mercati entro i quali si configura l’attuale modello del conflitto di classe.
Fra queste:
si riafferma – ai fini dell’applicabilità della disciplina contenuta nell’art. 2112 e alla luce della tanto discussa sentenza della Corte di Giustizia Europea (Cgue – Sentenza 6 marzo 2014 – Causa C 458/12) – l’imprescindibilità dei requisiti di “autonomia funzionale” del ramo ceduto, della conservazione e dunque della sua preesistenza rispetto all’operazione traslativa;
si chiarisce che le cessioni di ramo d’azienda non possono essere finalizzate alla riduzione dei costi del personale;
si analizza un fenomeno ampiamente diffuso, e invero poco discusso, che è quello dell’utilizzo di più società collegate per l’attuazione della strategia di outsourcing che incide sulla valutazione della legittimità del trasferimento e del corrispondente contratto (o contratti) di appalto. Su tale questione chi scrive ha fornito ampie argomentazioni.
Autonomia organizzativo-funzionale, di identità, di sua conservazione, quindi di sua preesistenza
Il Tribunale di Siena analizza accuratamente la normativa comunitaria ed i recenti arresti della Corte di Giustizia Europea, spiegando come “…la CGUE, si è da subito rilevato, orientata essenzialmente ad assicurare ai lavoratori misure di protezione e di conservazione dei diritti e ispirata dalla finalità di estensione della tutela dei lavoratori in qualsiasi caso di cambiamento dell’imprenditore, anche tipicamente, quindi, nell’ambito di operazioni infragruppo, non ha posto e non pone mai in discussione, anzi riafferma con rigore nel fenomeno del trasferimento di impresa la necessaria nozione di autonomia organizzativo- funzionale, di identità, di sua conservazione, quindi di sua preesistenza (ad es. punti 30, 34 e 35 sent. 6/3/2014, C-458/12, Amatori), con argomentazione che si atteggerebbe a mero orpello se si fosse inteso “sdoganare” da qualsiasi vincolo le vicende traslative in questione, dare “una sorta di patente di legittimità per l’estensione dell’obbligo del lavoratore di passare alle dipendenze dell’impresa cessionaria al seguito dei beni aziendali ceduti anche laddove questi ultimi non costituiscano un’azienda o un ramo aziendale ‘preesistente’, non siano cioè autonomi sul piano organizzativo e funzionale già prima del momento della cessione”.
Come sottolinea il giudice senese, i sopra riferiti principi sono oramai patrimonio della più recente giurisprudenza di legittimità (meno di taluni giudici di merito soprattutto in primo grado) secondo cui: “Del resto – prosegue la sent. 2014/n. 17901 – come pure affermato da questa Corte, non può ammettersi un trasferimento di ramo d’azienda con riferimento alla sola decisione, assunta dal soggetto cedente, di unificare alcuni beni e lavoratori, affidando a questi un’unica funzione al momento del trasferimento. Tanto infatti contrasterebbe, e con le direttive comunitarie nn. 1998/50 e 2001/23 che richiedono già prima di quest’atto “un entità economica che conservi la propria identità” ossia un assetto già formato, e con gli artt. 4 e 36 Cost. che impediscono di rimettere discipline inderogabili di tutela dei lavoratori (sent. n. 115 del 1994 della Corte Cost.) ad un mero atto di volontà del datore di lavoro, incontrollabile per l’assenza di riferimento oggettivi (Cfr. 15 aprile 2014 n. 8757 e Cass. 4 dicembre 2012 n. 21711 cit.)”.
La Corte di Cassazione affronta, poi, ad es. sempre nella citata sent. 2014/n. 17901 le problematiche interpretative dischiuse dalla sentenza Amatori:
“nè a diverse conclusioni può indurre la sentenza 6 marzo 2014 della Corte di Giustizia resa nella causa Lorenzo Amatori e altri C-458/12, secondo la quale l’art. 1, par. 1, lett. a) e b), della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, la quale, in presenza di un trasferimento di una parte di impresa, consenta la successione del cessionario al cedente nei rapporti di lavoro nell’ipotesi in cui la parte di impresa in questione non costituisca un’entità economica funzionalmente autonoma preesistente al suo trasferimento.
La richiamata pronuncia, infatti, interviene su questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Trento che muove dall’errato presupposto che la norma interna, quale quella dettata dall’art. 2112 c.c., comma 5, consente la successione del cessionario nei rapporti di lavoro del cedente, senza necessità del consenso dei lavoratori ceduti, anche qualora la parte di azienda oggetto del trasferimento non costituisca un’entità economica funzionalmente autonoma già preesistente al trasferimento, tanto da poter essere identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.
Inoltre la sentenza comunitaria va letta, non nel senso che non occorre, ai fini di cui trattasi, il requisito della preesistenza, ma che è consentito agli stati membri prevedere una norma che estenda l’obbligo di mantenimento dei diritti dei lavoratori trasferiti anche in caso di non preesistenza del ramo d’azienda.
D’altro canto la stessa Corte, nella citata sentenza, ribadisce che, ai fini dell’applicazione della richiamata direttiva 2001/23, l‘entità economica in questione deve in particolare, anteriormente al trasferimento, godere di un’autonomia funzionale sufficiente. Alla stregua delle svolte considerazioni, pertanto, non è corretta in diritto la sentenza impugnata la quale ha ritenuto che ai sensi del novellato art. 2112 c.c. le parti potessero al momento del trasferimento identificare il ramo d’azienda da cedere”.
Più sinteticamente Cass. SL 2014/n. 17863: “la recente sentenza della Corte di giustizia UE 6 marzo 2014 n. C- 458/12 conferma quanto detto. Da essa risulta infatti che: a) non si ha trasferimento di ramo d’azienda qualora il ramo non preesista alla cessione (dispositivo, n. 1; considerato n. 321; b) in tal caso spetta all’ordinamento nazionale di garantire il lavoratore (dispositivo, n. 1; considerato n. 39)” (Cass. sez. lav. ss. nn. 8756/2014, 11237/2014, 11575/2014, 17901/2014, 21917/2013 ecc. ecc.).
L’illegittimità delle cessioni di ramo d’azienda finalizzate alla riduzione dei costi del personale
Nel merito della legittimità della operazione traslativa il Tribunale, anzitutto, afferma come difetti l’imprescindibile requisito della preesistenza ed anzi la cessione di ramo era, di fatto, giustificata dalla necessità di ridurre i costi, anche del personale.
“Ci parrebbe quasi, che dalla stessa lineare lettura del Piano Industriale 2012/2015 (sopra § 1) possa essere decisa la presente controversia: infatti al 27/6/2012 non esisteva alcun ramo di azienda da cedere, né in ambito COG, né in ambito BMPS (né, solo per inciso, lontanamente esisteva il futuro cessionario). Al dichiarato fine di riduzione degli organici del Gruppo, per una prevalente dichiarata istanza di contenimento dei costi del personale, viene ideata e progettata la individuazione di una entità, quindi ancora insussistente (il cui perimetro, come successivamente tracciato, si suddivideva al tempo tra soggettività diverse, CGO, BMPS e altre società del Gruppo) ideata e progettata sin dalla sua successiva nascita in ambito BMPS (la Divisione AACA) con il dichiarato fine espulsivo, peraltro con contestuale riappropriazione produttiva a mezzo contratto di servizio da eseguirsi a mezzo del costruendo ramo di azienda….”.
“La Divisione AACA, il preteso ramo di azienda ceduto a Fruendo, ha dunque un’origine precisa e ben definita nel tempo. E’ una Divisione neonata, concepita il 31/12/2012, in vita operativa solo dall’1/3/2013, ad esito della preliminare vicenda di internalizzazione infragruppo COG-BMPS.
Addirittura, nella più limitata composizione in cui si verrà a identificare il ramo di azienda effettivamente trasferendo all’esterno, che interesserà non 2360, non 1700, ma circa 1060 unità di personale, la Divisione ridisegnata nell’10/2013, è coeva in sostanza al trasferimento stesso.
Vale a dire, il preteso ramo aziendale, come tale, ha operato per uno spazio temporale minimo se non inesistente, insufficiente per poterne concretamente apprezzare la sua operatività e autonomia funzionale, non come somma di elementi, di Servizi, ma come azienda….”.
“ La sua perimetrazione (vocabolo in materia assai in auge) ha addirittura riguardato prima ancora che l’oggettività, la soggettività, prima ancora dei servizi, il numero dei dipendenti da inscrivere nel cerchio della cessione…”.
Il giudice sottolinea che già negli accordi sindacali precedenti la cessione, la banca MPS aveva anticipato l’intenzione di alleggerirsi del costo del personale: “Del resto, nell’ipotesi di accordo 19/12/2012 sottoscritta tra le aziende del Gruppo e le organizzazioni sindacali, parte datoriale si impegnava a “porre in essere ogni possibile sforzo per ridurre il perimetro complessivo delle attività oggetto di cessione (orientativamente fino a 1.100 unità in termini di forza lavoro”)…Francamente riteniamo incomprensibile simile dichiarazione – poi destinataria di effettiva puntuale attuazione – nella logica della individuazione di un ramo di azienda trasferendo. Una logica comprensibile, invece, solo nell’ambito di una trattativa sul numero del personale da ridurre, mostrandosi così di voler giungere all’identificazione del ramo muovendo dalla dimensione numerica del personale, e non dall’oggetto delle attività, sul piano di scelte aziendali oggettive, perdendosi del tutto, tra altro, una istanza prioritaria di efficienza organizzativa e ottimizzazione produttiva (non si tratta di arrogarsi un’inammissibile interferenza valutativa in scelte notoriamente appannaggio esclusivo dell’imprenditore, ma di applicazione di una logica elementare, cui neppure quella intoccabile sfera può sottrarsi).”.
Sull’importanza del trasferimento dei mezzi di produzione relativi al ramo ceduto
– Ancora, analizzando il contratto di cessione, il Tribunale evidenzia la “pochezza” dei beni ceduti (impianti e macchinari) per un valore di appena € 7.000,00! Non sono stati poi ceduti, spiega il giudicante, i beni immateriali (i sistemi applicativi) che costituivano un elemento indispensabile per rendere il complesso di beni e personale ceduto una articolazione, non solo preesistente, ma soprattutto funzionalmente autonoma, ossia di in grado fornire i servizi esternalizzati.
– Non è stato ceduto l’intera articolazione di azienda, ma soltanto una certa parte di attività e servizi; la restante parte è rimasta in BMPS anche svolgendo servizi speculari a quelli del segmento ceduto. In altre parole, BMPS ha continuato a svolgere le medesime attività in una certa parte cedute a Fruendo: “Infatti, servizi e uffici analoghi, affini, se non speculari a quelli ceduti e talora parzialmente sovrapposti, sono rimasti nell’ambito di BMPS e gran parte del personale addetto alla struttura DAACA…BMPS ha offerto settore per settore argomentazioni giustificative, ciascuna dotata di maggiore o minore cogenza rispetto a fonte secondaria (Circolare della Banca d’Italia, 27/12/2006, n. 263) e/o razionalità, che non appare utile affrontare singolarmente, poiché in ogni caso il descritto fenomeno di frantumazione e separazione rende difficile comprendere come possa parlarsi di una organizzazione unitaria preindividuata e funzionalmente autonoma, dalla quale è stato possibile scorporare in occasione della cessione un così elevato numero di ambiti funzionali e professionalità senza pregiudicarne autonomia e conservazione identitaria sia del comparto delle attività mantenute da BMPS, sia, ai fini della presente controversia, delle attività cedute.
Sui sistemi di appalti e collegamenti societari relativi al trasferimento ex art. 2112
Addirittura, e qui merito anche a chi vi scrive, il Tribunale evidenzia come una certa parte di attività che componevano il ramo ceduto erano state in realtà appaltate ad un soggetto terzo, Accenture, e non alla cessionaria Fruendo.
“Ad es. dall’analisi del Master Service Agreement si ricava che non sarà il cessionario, la NewCo Fruendo srl, a fornire al cedente tutti i Servizi correlati al ramo aziendale ceduto. Accanto al Fornitore Fruendo, dunque, si delinea la figura di un terzo operatore economico, estraneo alla cessione, Accenture, al fine della essenziale integrazione della fornitura necessaria al cedente e interessata dalla esternalizzazione. Non si tratta dunque, di una autonoma parte di impresa che viene trasferita ad un nuovo soggetto imprenditoriale, che restituisce al cedente i servizi precedentemente resi dall’ipotizzato ramo, ma una evidente ulteriore scomposizione dell’asserito ramo, tanto che i servizi dovranno essere forniti da altra soggettività imprenditoriale estranea alla cessione…Se ne deve inferire ulteriormente la già rilevata perdita identitaria nella cessione, quella crisi identitaria dell’impresa pericolo e limite dell’operazione traslativa.”.
Alla luce delle sovraesposte considerazioni il Tribunale di Siena conclude affermando come, nel caso in esame, non si sia trattato infatti di cessione di un ramo di azienda suscettibile di trasferimento ai sensi e per gli effetti dell’art. 2112 c.c., non ritenendosi la Divisione AACA, né la parte di essa trasferita da BMPS a FRUENDO una entità economica dotata di una propria individualità e sufficiente strutturazione ed autonomia funzionale, come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria, altresì con carattere di preesistenza, e, in ogni caso, oggetto che non ha conservato nella cessione contrattuale la propria identità, necessitando per converso imponenti interventi integrativi imprenditoriali ad opera del cedente stesso, del cessionario, di terzi. Si è trattato, dunque, di una entità creata ad hoc in vista ed in occasione del trasferimento e come ramo aziendale unicamente identificata dalle parti del negozio traslativo, rivelandosi l’operazione, in definitiva, una mera esternalizzazione di servizi con cessione dei contratti di lavoro, che richiede per il suo perfezionamento il consenso dei lavoratori ceduti.
La conseguenza è l’invalidità ed inefficacia del trasferimento di azienda e la permanente sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra i ricorrenti e la Banca Monte dei Paschi di Siena spa a decorrere dall’1/1/2014, con riammissione in servizio e ogni necessario adempimento normativo.
Napoli 11 luglio 2015
Cessione di ramo di azienda e collegamenti societari: il caso Monte dei Paschi di Siena (commento alla sentenza del Tribunale di Siena Dr. Cammorasano n. 47/2015).
a cura dell’avv. Ernesto Maria Cirillo e della dr.ssa Lidia Undiemi
Il tribunale di Siena ha recentemente emesso una sentenza sul famoso caso della cessione di ramo d’azienda delle attività di “back office” che ha coinvolto più di mille lavoratori.
Dando ragione ai lavoratori, il giudice senese affronta in modo esemplare le principali questioni interpretative sul tema della tutela dei lavoratori nelle esternalizzazioni, fenomeno che oggi incide in modo determinante sulla struttura dei mercati entro i quali si configura l’attuale modello del conflitto di classe.
Fra queste:
si riafferma – ai fini dell’applicabilità della disciplina contenuta nell’art. 2112 e alla luce della tanto discussa sentenza della Corte di Giustizia Europea (Cgue – Sentenza 6 marzo 2014 – Causa C 458/12) – l’imprescindibilità dei requisiti di “autonomia funzionale” del ramo ceduto, della conservazione e dunque della sua preesistenza rispetto all’operazione traslativa;
si chiarisce che le cessioni di ramo d’azienda non possono essere finalizzate alla riduzione dei costi del personale;
si analizza un fenomeno ampiamente diffuso, e invero poco discusso, che è quello dell’utilizzo di più società collegate per l’attuazione della strategia di outsourcing che incide sulla valutazione della legittimità del trasferimento e del corrispondente contratto (o contratti) di appalto. Su tale questione chi scrive ha fornito ampie argomentazioni.
Autonomia organizzativo-funzionale, di identità, di sua conservazione, quindi di sua preesistenza
Il Tribunale di Siena analizza accuratamente la normativa comunitaria ed i recenti arresti della Corte di Giustizia Europea, spiegando come “…la CGUE, si è da subito rilevato, orientata essenzialmente ad assicurare ai lavoratori misure di protezione e di conservazione dei diritti e ispirata dalla finalità di estensione della tutela dei lavoratori in qualsiasi caso di cambiamento dell’imprenditore, anche tipicamente, quindi, nell’ambito di operazioni infragruppo, non ha posto e non pone mai in discussione, anzi riafferma con rigore nel fenomeno del trasferimento di impresa la necessaria nozione di autonomia organizzativo- funzionale, di identità, di sua conservazione, quindi di sua preesistenza (ad es. punti 30, 34 e 35 sent. 6/3/2014, C-458/12, Amatori), con argomentazione che si atteggerebbe a mero orpello se si fosse inteso “sdoganare” da qualsiasi vincolo le vicende traslative in questione, dare “una sorta di patente di legittimità per l’estensione dell’obbligo del lavoratore di passare alle dipendenze dell’impresa cessionaria al seguito dei beni aziendali ceduti anche laddove questi ultimi non costituiscano un’azienda o un ramo aziendale ‘preesistente’, non siano cioè autonomi sul piano organizzativo e funzionale già prima del momento della cessione”.
Come sottolinea il giudice senese, i sopra riferiti principi sono oramai patrimonio della più recente giurisprudenza di legittimità (meno di taluni giudici di merito soprattutto in primo grado) secondo cui: “Del resto – prosegue la sent. 2014/n. 17901 – come pure affermato da questa Corte, non può ammettersi un trasferimento di ramo d’azienda con riferimento alla sola decisione, assunta dal soggetto cedente, di unificare alcuni beni e lavoratori, affidando a questi un’unica funzione al momento del trasferimento. Tanto infatti contrasterebbe, e con le direttive comunitarie nn. 1998/50 e 2001/23 che richiedono già prima di quest’atto “un entità economica che conservi la propria identità” ossia un assetto già formato, e con gli artt. 4 e 36 Cost. che impediscono di rimettere discipline inderogabili di tutela dei lavoratori (sent. n. 115 del 1994 della Corte Cost.) ad un mero atto di volontà del datore di lavoro, incontrollabile per l’assenza di riferimento oggettivi (Cfr. 15 aprile 2014 n. 8757 e Cass. 4 dicembre 2012 n. 21711 cit.)”.
La Corte di Cassazione affronta, poi, ad es. sempre nella citata sent. 2014/n. 17901 le problematiche interpretative dischiuse dalla sentenza Amatori:
“nè a diverse conclusioni può indurre la sentenza 6 marzo 2014 della Corte di Giustizia resa nella causa Lorenzo Amatori e altri C-458/12, secondo la quale l’art. 1, par. 1, lett. a) e b), della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, la quale, in presenza di un trasferimento di una parte di impresa, consenta la successione del cessionario al cedente nei rapporti di lavoro nell’ipotesi in cui la parte di impresa in questione non costituisca un’entità economica funzionalmente autonoma preesistente al suo trasferimento.
La richiamata pronuncia, infatti, interviene su questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Trento che muove dall’errato presupposto che la norma interna, quale quella dettata dall’art. 2112 c.c., comma 5, consente la successione del cessionario nei rapporti di lavoro del cedente, senza necessità del consenso dei lavoratori ceduti, anche qualora la parte di azienda oggetto del trasferimento non costituisca un’entità economica funzionalmente autonoma già preesistente al trasferimento, tanto da poter essere identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.
Inoltre la sentenza comunitaria va letta, non nel senso che non occorre, ai fini di cui trattasi, il requisito della preesistenza, ma che è consentito agli stati membri prevedere una norma che estenda l’obbligo di mantenimento dei diritti dei lavoratori trasferiti anche in caso di non preesistenza del ramo d’azienda.
D’altro canto la stessa Corte, nella citata sentenza, ribadisce che, ai fini dell’applicazione della richiamata direttiva 2001/23, l‘entità economica in questione deve in particolare, anteriormente al trasferimento, godere di un’autonomia funzionale sufficiente. Alla stregua delle svolte considerazioni, pertanto, non è corretta in diritto la sentenza impugnata la quale ha ritenuto che ai sensi del novellato art. 2112 c.c. le parti potessero al momento del trasferimento identificare il ramo d’azienda da cedere”.
Più sinteticamente Cass. SL 2014/n. 17863: “la recente sentenza della Corte di giustizia UE 6 marzo 2014 n. C- 458/12 conferma quanto detto. Da essa risulta infatti che: a) non si ha trasferimento di ramo d’azienda qualora il ramo non preesista alla cessione (dispositivo, n. 1; considerato n. 321; b) in tal caso spetta all’ordinamento nazionale di garantire il lavoratore (dispositivo, n. 1; considerato n. 39)” (Cass. sez. lav. ss. nn. 8756/2014, 11237/2014, 11575/2014, 17901/2014, 21917/2013 ecc. ecc.).
L’illegittimità delle cessioni di ramo d’azienda finalizzate alla riduzione dei costi del personale
Nel merito della legittimità della operazione traslativa il Tribunale, anzitutto, afferma come difetti l’imprescindibile requisito della preesistenza ed anzi la cessione di ramo era, di fatto, giustificata dalla necessità di ridurre i costi, anche del personale.
“Ci parrebbe quasi, che dalla stessa lineare lettura del Piano Industriale 2012/2015 (sopra § 1) possa essere decisa la presente controversia: infatti al 27/6/2012 non esisteva alcun ramo di azienda da cedere, né in ambito COG, né in ambito BMPS (né, solo per inciso, lontanamente esisteva il futuro cessionario). Al dichiarato fine di riduzione degli organici del Gruppo, per una prevalente dichiarata istanza di contenimento dei costi del personale, viene ideata e progettata la individuazione di una entità, quindi ancora insussistente (il cui perimetro, come successivamente tracciato, si suddivideva al tempo tra soggettività diverse, CGO, BMPS e altre società del Gruppo) ideata e progettata sin dalla sua successiva nascita in ambito BMPS (la Divisione AACA) con il dichiarato fine espulsivo, peraltro con contestuale riappropriazione produttiva a mezzo contratto di servizio da eseguirsi a mezzo del costruendo ramo di azienda….”.
“La Divisione AACA, il preteso ramo di azienda ceduto a Fruendo, ha dunque un’origine precisa e ben definita nel tempo. E’ una Divisione neonata, concepita il 31/12/2012, in vita operativa solo dall’1/3/2013, ad esito della preliminare vicenda di internalizzazione infragruppo COG-BMPS.
Addirittura, nella più limitata composizione in cui si verrà a identificare il ramo di azienda effettivamente trasferendo all’esterno, che interesserà non 2360, non 1700, ma circa 1060 unità di personale, la Divisione ridisegnata nell’10/2013, è coeva in sostanza al trasferimento stesso.
Vale a dire, il preteso ramo aziendale, come tale, ha operato per uno spazio temporale minimo se non inesistente, insufficiente per poterne concretamente apprezzare la sua operatività e autonomia funzionale, non come somma di elementi, di Servizi, ma come azienda….”.
“ La sua perimetrazione (vocabolo in materia assai in auge) ha addirittura riguardato prima ancora che l’oggettività, la soggettività, prima ancora dei servizi, il numero dei dipendenti da inscrivere nel cerchio della cessione…”.
Il giudice sottolinea che già negli accordi sindacali precedenti la cessione, la banca MPS aveva anticipato l’intenzione di alleggerirsi del costo del personale: “Del resto, nell’ipotesi di accordo 19/12/2012 sottoscritta tra le aziende del Gruppo e le organizzazioni sindacali, parte datoriale si impegnava a “porre in essere ogni possibile sforzo per ridurre il perimetro complessivo delle attività oggetto di cessione (orientativamente fino a 1.100 unità in termini di forza lavoro”)…Francamente riteniamo incomprensibile simile dichiarazione – poi destinataria di effettiva puntuale attuazione – nella logica della individuazione di un ramo di azienda trasferendo. Una logica comprensibile, invece, solo nell’ambito di una trattativa sul numero del personale da ridurre, mostrandosi così di voler giungere all’identificazione del ramo muovendo dalla dimensione numerica del personale, e non dall’oggetto delle attività, sul piano di scelte aziendali oggettive, perdendosi del tutto, tra altro, una istanza prioritaria di efficienza organizzativa e ottimizzazione produttiva (non si tratta di arrogarsi un’inammissibile interferenza valutativa in scelte notoriamente appannaggio esclusivo dell’imprenditore, ma di applicazione di una logica elementare, cui neppure quella intoccabile sfera può sottrarsi).”.
Sull’importanza del trasferimento dei mezzi di produzione relativi al ramo ceduto
– Ancora, analizzando il contratto di cessione, il Tribunale evidenzia la “pochezza” dei beni ceduti (impianti e macchinari) per un valore di appena € 7.000,00! Non sono stati poi ceduti, spiega il giudicante, i beni immateriali (i sistemi applicativi) che costituivano un elemento indispensabile per rendere il complesso di beni e personale ceduto una articolazione, non solo preesistente, ma soprattutto funzionalmente autonoma, ossia di in grado fornire i servizi esternalizzati.
– Non è stato ceduto l’intera articolazione di azienda, ma soltanto una certa parte di attività e servizi; la restante parte è rimasta in BMPS anche svolgendo servizi speculari a quelli del segmento ceduto. In altre parole, BMPS ha continuato a svolgere le medesime attività in una certa parte cedute a Fruendo: “Infatti, servizi e uffici analoghi, affini, se non speculari a quelli ceduti e talora parzialmente sovrapposti, sono rimasti nell’ambito di BMPS e gran parte del personale addetto alla struttura DAACA…BMPS ha offerto settore per settore argomentazioni giustificative, ciascuna dotata di maggiore o minore cogenza rispetto a fonte secondaria (Circolare della Banca d’Italia, 27/12/2006, n. 263) e/o razionalità, che non appare utile affrontare singolarmente, poiché in ogni caso il descritto fenomeno di frantumazione e separazione rende difficile comprendere come possa parlarsi di una organizzazione unitaria preindividuata e funzionalmente autonoma, dalla quale è stato possibile scorporare in occasione della cessione un così elevato numero di ambiti funzionali e professionalità senza pregiudicarne autonomia e conservazione identitaria sia del comparto delle attività mantenute da BMPS, sia, ai fini della presente controversia, delle attività cedute.
Sui sistemi di appalti e collegamenti societari relativi al trasferimento ex art. 2112
Addirittura, e qui merito anche a chi vi scrive, il Tribunale evidenzia come una certa parte di attività che componevano il ramo ceduto erano state in realtà appaltate ad un soggetto terzo, Accenture, e non alla cessionaria Fruendo.
“Ad es. dall’analisi del Master Service Agreement si ricava che non sarà il cessionario, la NewCo Fruendo srl, a fornire al cedente tutti i Servizi correlati al ramo aziendale ceduto. Accanto al Fornitore Fruendo, dunque, si delinea la figura di un terzo operatore economico, estraneo alla cessione, Accenture, al fine della essenziale integrazione della fornitura necessaria al cedente e interessata dalla esternalizzazione. Non si tratta dunque, di una autonoma parte di impresa che viene trasferita ad un nuovo soggetto imprenditoriale, che restituisce al cedente i servizi precedentemente resi dall’ipotizzato ramo, ma una evidente ulteriore scomposizione dell’asserito ramo, tanto che i servizi dovranno essere forniti da altra soggettività imprenditoriale estranea alla cessione…Se ne deve inferire ulteriormente la già rilevata perdita identitaria nella cessione, quella crisi identitaria dell’impresa pericolo e limite dell’operazione traslativa.”.
Alla luce delle sovraesposte considerazioni il Tribunale di Siena conclude affermando come, nel caso in esame, non si sia trattato infatti di cessione di un ramo di azienda suscettibile di trasferimento ai sensi e per gli effetti dell’art. 2112 c.c., non ritenendosi la Divisione AACA, né la parte di essa trasferita da BMPS a FRUENDO una entità economica dotata di una propria individualità e sufficiente strutturazione ed autonomia funzionale, come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria, altresì con carattere di preesistenza, e, in ogni caso, oggetto che non ha conservato nella cessione contrattuale la propria identità, necessitando per converso imponenti interventi integrativi imprenditoriali ad opera del cedente stesso, del cessionario, di terzi. Si è trattato, dunque, di una entità creata ad hoc in vista ed in occasione del trasferimento e come ramo aziendale unicamente identificata dalle parti del negozio traslativo, rivelandosi l’operazione, in definitiva, una mera esternalizzazione di servizi con cessione dei contratti di lavoro, che richiede per il suo perfezionamento il consenso dei lavoratori ceduti.
La conseguenza è l’invalidità ed inefficacia del trasferimento di azienda e la permanente sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra i ricorrenti e la Banca Monte dei Paschi di Siena spa a decorrere dall’1/1/2014, con riammissione in servizio e ogni necessario adempimento normativo.
Napoli 11 luglio 2015