T.I. S.p.A. condannata a reintegrare un lavoratore nel proprio posto di lavoro ed a pagare una indennità risarcitoria pari alla retribuzione maturata dalla data del licenziamento.
A cura dell’avv. Francesco Cirillo
Il Tribunale di Milano, con recentissima sentenza resa in favore di un nostro assistito, affronta il problema della tardività del licenziamento e delle sue conseguenze a seguito della c.d. “Riforma Fornero”.
La vicenda originava da un esposto proposto dalla Telecom Italia nel 2012 per picchi di traffico anomali riscontrati presso utenze telefoniche di una centrale ed in uso a suoi dipendenti, generati da telefonate effettuate secondo l’esponente ai fini di ricaricare illegittimamente alcune sim. A seguito dell’aperture del procedimento penale T.I., nel 2013, sospendeva una serie di lavoratori, tra cui il nostro assistito, senza mai avviare alcun procedimento disciplinare a cui il datore di lavoro non dava impulso neanche a seguito della chiusura delle indagini preliminari nel 2014. Nel 2016, dopo il rinvio a giudizio, veniva comminato al lavoratore il provvedimento espulsivo.
Per il nostro assistito proponevamo ricorso con il quale preliminarmente si eccepiva la tardività del licenziamento del 2016, con conseguente diritto alla reintegra, osservando nel merito l’assoluta sproporzione del licenziamento rispetto ai fatti (il supposto danno per l’azienda nel caso ammontava a pochi euro). Il Tribunale di Milano, accogliendo la nostra tesi difensiva, ha accertato che “in materia di licenziamento disciplinare, il principio dell’immediatezza della contestazione, che trova fondamento nell’art. 7, terzo e quarto comma, legge 20 maggio 1970, n. 300, mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per poter contrastare più efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dall’altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore – in relazione al carattere facoltativo dell’esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformità ai canoni della buona fede – sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile, con la conseguenza che, ove la contestazione sia tardiva, si realizza una preclusione all’esercizio del relativo potere e l’invalidità della sanzione irrogata.”.
Riteneva dunque il Giudice che “la resistente, fin dal momento della presentazione della denuncia avvenuta nel 2012, era a conoscenza delle condotte illecite in contestazione ed era in ogni caso in grado di effettuare specifici e autonomi accertamenti per verificarne l’effettiva gravità disciplinare, stante anche il contenuto del citato atto di denuncia…. Va in ogni caso rilevato che Telecom, negli anni immediatamente successivi (2013 e 2014), aveva con ogni verosimiglianza sufficiente contezza della sussistenza e della rilevanza giuridica delle condotte contestate … A ulteriore conferma di quanto esposto va altresì rilevato come Telecom, allontanando cautelativamente il ricorrente dal lavoro …… e formulando, nei suoi confronti, nel dicembre 2014, espressa “ampia riserva di diritti ed azione” fosse evidentemente consapevole della sussistenza e della rilevanza disciplinare degli addebiti in oggetto non avendo altrimenti tali provvedimenti alcuna plausibile giustificazione giuridica.”.
Rileva inoltre correttamente che “non vi è alcuna norma di legge che vieti alle azienda l’espletamento di proprie indagini per fini disciplinari nel caso di indagini penali in corso”, ed a tal proposito cita il noto principio più volte e costantemente espresso dalla Suprema Corte di Cassazione per la quale, “non può ritenersi giustificato il differimento della contestazione di fatti già noti, ove esso sia stato determinato dalla volontà del datore di lavoro di acquisirne la valutazione in sede penale, e in particolare di acquisirne il formale inquadramento, peculiare di tale giudizio, rispetto all’una o all’altra fattispecie incriminatrice, tale incremento di conoscenza restando ininfluente, per la reciproca autonomia dei procedimenti penale e disciplinare, in presenza di condotte che risultino già adeguatamente percepite dal datore di lavoro tanto sul versante della loro realtà storica e fattuale, come su quello del loro disvalore etico e sociale”.
Osserva ancora il Tribunale, riferendosi alla condotta tenuta dal datore di lavoro nella vicenda che “la parte non può discrezionalmente disapplicare, ancorché in via temporanea, i precetti contenuti nell’art. 7 stat. lav, avuto specifico riguardo alla prevista tempestività dell’azione disciplinare, trattandosi di disposizioni che tutelano interessi e principi di natura pubblica.” .
Quanto alle conseguenze da far discendere dalla tardività del licenziamento, il Tribunale di Milano, dando seguito anche a precedenti del Foro, e superando alcune iniziali pronunce di merito, frutto di una troppo frettolosa interpretazione dell’art 18 nel testo post riforma Fornero, ed in linea con quanto espresso costantemente dalla Suprema Corte di Cassazione negli ultimi anni, rileva che “in tema di licenziamento disciplinare, un fatto non tempestivamente contestato dal datore non può che essere considerato insussistente ai fini della tutela reintegratoria prevista dall’art. 18 st.lav., come modificato dalla l. n. 92 del 2012, trattandosi di violazione radicale che impedisce al giudice di valutare la commissione effettiva dello stesso anche ai fini della scelta tra i vari regimi sanzionatori” e, dunque stabilisce che “Dall’accertata tardività della contestazione disciplinare in esame e, quindi, dalla riscontrata carenza di uno degli elementi costitutivi previsti dalla legge per il valido esercizio del potere disciplinare, rilevante ai sensi dell’art. 7 stat. lav., discende l’illegittimità del licenziamento impugnato per insussistenza del fatto contestato non potendo il giudice, in assenza del valido esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro, procedere alla verifica dell’effettiva sussistenza dell’addebito contestato che, pertanto, va considerato, sotto un profilo processuale, come inesistente.” .
Riteniamo che la pronuncia in commento, oltre a rendere giustizia nel caso di specie, contribuisca a fornire la corretta lettura, alla mai troppo dileggiata riforma dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Cionondimeno non possiamo non osservare con amarezza come, ancora una volta, il testo di una norma che assume rilievo fondamentale per la tutela del diritto al lavoro, debba essere oggetto di faticose operazioni ermeneutiche conseguenti, unicamente, ad una troppo frequente mancanza di semplicità e chiarezza espositiva, la cui ricorrenza instilla più di un ragionevole dubbio sugli interessi perseguiti dal legislatore.
Il licenziamento tardivo è inesistente – Tribunale di Milano annulla il licenziamento – Reintegra per il lavoratore Telecom
T.I. S.p.A. condannata a reintegrare un lavoratore nel proprio posto di lavoro ed a pagare una indennità risarcitoria pari alla retribuzione maturata dalla data del licenziamento.
A cura dell’avv. Francesco Cirillo
Il Tribunale di Milano, con recentissima sentenza resa in favore di un nostro assistito, affronta il problema della tardività del licenziamento e delle sue conseguenze a seguito della c.d. “Riforma Fornero”.
La vicenda originava da un esposto proposto dalla Telecom Italia nel 2012 per picchi di traffico anomali riscontrati presso utenze telefoniche di una centrale ed in uso a suoi dipendenti, generati da telefonate effettuate secondo l’esponente ai fini di ricaricare illegittimamente alcune sim. A seguito dell’aperture del procedimento penale T.I., nel 2013, sospendeva una serie di lavoratori, tra cui il nostro assistito, senza mai avviare alcun procedimento disciplinare a cui il datore di lavoro non dava impulso neanche a seguito della chiusura delle indagini preliminari nel 2014. Nel 2016, dopo il rinvio a giudizio, veniva comminato al lavoratore il provvedimento espulsivo.
Per il nostro assistito proponevamo ricorso con il quale preliminarmente si eccepiva la tardività del licenziamento del 2016, con conseguente diritto alla reintegra, osservando nel merito l’assoluta sproporzione del licenziamento rispetto ai fatti (il supposto danno per l’azienda nel caso ammontava a pochi euro). Il Tribunale di Milano, accogliendo la nostra tesi difensiva, ha accertato che “in materia di licenziamento disciplinare, il principio dell’immediatezza della contestazione, che trova fondamento nell’art. 7, terzo e quarto comma, legge 20 maggio 1970, n. 300, mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per poter contrastare più efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dall’altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore – in relazione al carattere facoltativo dell’esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformità ai canoni della buona fede – sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile, con la conseguenza che, ove la contestazione sia tardiva, si realizza una preclusione all’esercizio del relativo potere e l’invalidità della sanzione irrogata.”.
Riteneva dunque il Giudice che “la resistente, fin dal momento della presentazione della denuncia avvenuta nel 2012, era a conoscenza delle condotte illecite in contestazione ed era in ogni caso in grado di effettuare specifici e autonomi accertamenti per verificarne l’effettiva gravità disciplinare, stante anche il contenuto del citato atto di denuncia…. Va in ogni caso rilevato che Telecom, negli anni immediatamente successivi (2013 e 2014), aveva con ogni verosimiglianza sufficiente contezza della sussistenza e della rilevanza giuridica delle condotte contestate … A ulteriore conferma di quanto esposto va altresì rilevato come Telecom, allontanando cautelativamente il ricorrente dal lavoro …… e formulando, nei suoi confronti, nel dicembre 2014, espressa “ampia riserva di diritti ed azione” fosse evidentemente consapevole della sussistenza e della rilevanza disciplinare degli addebiti in oggetto non avendo altrimenti tali provvedimenti alcuna plausibile giustificazione giuridica.”.
Rileva inoltre correttamente che “non vi è alcuna norma di legge che vieti alle azienda l’espletamento di proprie indagini per fini disciplinari nel caso di indagini penali in corso”, ed a tal proposito cita il noto principio più volte e costantemente espresso dalla Suprema Corte di Cassazione per la quale, “non può ritenersi giustificato il differimento della contestazione di fatti già noti, ove esso sia stato determinato dalla volontà del datore di lavoro di acquisirne la valutazione in sede penale, e in particolare di acquisirne il formale inquadramento, peculiare di tale giudizio, rispetto all’una o all’altra fattispecie incriminatrice, tale incremento di conoscenza restando ininfluente, per la reciproca autonomia dei procedimenti penale e disciplinare, in presenza di condotte che risultino già adeguatamente percepite dal datore di lavoro tanto sul versante della loro realtà storica e fattuale, come su quello del loro disvalore etico e sociale”.
Osserva ancora il Tribunale, riferendosi alla condotta tenuta dal datore di lavoro nella vicenda che “la parte non può discrezionalmente disapplicare, ancorché in via temporanea, i precetti contenuti nell’art. 7 stat. lav, avuto specifico riguardo alla prevista tempestività dell’azione disciplinare, trattandosi di disposizioni che tutelano interessi e principi di natura pubblica.” .
Quanto alle conseguenze da far discendere dalla tardività del licenziamento, il Tribunale di Milano, dando seguito anche a precedenti del Foro, e superando alcune iniziali pronunce di merito, frutto di una troppo frettolosa interpretazione dell’art 18 nel testo post riforma Fornero, ed in linea con quanto espresso costantemente dalla Suprema Corte di Cassazione negli ultimi anni, rileva che “in tema di licenziamento disciplinare, un fatto non tempestivamente contestato dal datore non può che essere considerato insussistente ai fini della tutela reintegratoria prevista dall’art. 18 st.lav., come modificato dalla l. n. 92 del 2012, trattandosi di violazione radicale che impedisce al giudice di valutare la commissione effettiva dello stesso anche ai fini della scelta tra i vari regimi sanzionatori” e, dunque stabilisce che “Dall’accertata tardività della contestazione disciplinare in esame e, quindi, dalla riscontrata carenza di uno degli elementi costitutivi previsti dalla legge per il valido esercizio del potere disciplinare, rilevante ai sensi dell’art. 7 stat. lav., discende l’illegittimità del licenziamento impugnato per insussistenza del fatto contestato non potendo il giudice, in assenza del valido esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro, procedere alla verifica dell’effettiva sussistenza dell’addebito contestato che, pertanto, va considerato, sotto un profilo processuale, come inesistente.” .
Riteniamo che la pronuncia in commento, oltre a rendere giustizia nel caso di specie, contribuisca a fornire la corretta lettura, alla mai troppo dileggiata riforma dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Cionondimeno non possiamo non osservare con amarezza come, ancora una volta, il testo di una norma che assume rilievo fondamentale per la tutela del diritto al lavoro, debba essere oggetto di faticose operazioni ermeneutiche conseguenti, unicamente, ad una troppo frequente mancanza di semplicità e chiarezza espositiva, la cui ricorrenza instilla più di un ragionevole dubbio sugli interessi perseguiti dal legislatore.